Africa sub-sahariana: opportunità e strategie per le imprese italiane

In una situazione di grande crescita economica per l’Africa, l’influenza delle ex-potenze coloniali europee sta progressivamente cedendo il passo a Cina, USA e Paesi Emergenti, che stanno rafforzando le relazioni politiche e commerciali con l’Africa anche in funzione del controllo delle risorse del continente.

I player cinesi, statunitensi, ma anche indiani, brasiliani e turchi sono avvantaggiati dagli strumenti di soft power messi in atto dai governi nazionali: aiuti umanitari ed economici, trattati commerciali, investimenti in infrastrutture.

Una politica commerciale particolarmente aggressiva è quella della Cina, che negli ultimi dieci anni ha raddoppiato il volume degli scambi commerciali con l’Africa e nel gennaio del 2015 ha avviato con l’Unione africana (Ua) una collaborazione che mira a collegare le capitali del continente sviluppando la rete stradale, quella ferroviaria e le linee aeree locali.
In questo contesto la presenza delle imprese italiane nelle grandi operazioni di investimento in Africa è marginale e per lo più si riferisce a grandi gruppi come ENI, Danieli, Enel Green Power, Salini, Impregilo e ad altri investitori che rappresentano perlopiù casi isolati.

In questo contesto si inserisce il tentativo delle PMI italiane di far breccia nel mercato africano, destinato a crescere ancora in modo esponenziale.

Opportunità di investimento e strumenti a disposizione delle PMI italiane

L’interesse nei confronti dell’Africa da parte delle aziende italiane, in particolare con riferimento ai Paesi della fascia sub-sahariana, sta crescendo in misura costante e ha ormai raggiunto livelli considerevoli. Accanto al Sudafrica, la cui economia ha conosciuto ritmi di crescita significativi, ma che ora sta scontando un periodo di flessione, vi sono Paesi nei quali le prospettive di sviluppo, sia di breve che di lungo periodo, sono molto promettenti. Tra questi, ci sono ad esempio Nigeria, Ghana, Mozambico, Angola e Etiopia.

L’Africa Subsahariana rappresenta per le aziende italiane una “nuova frontiera”, in grado di fornire sbocchi commerciali per i prodotti e i servizi italiani in molteplici settori, come: edilizia e arredo, meccanica e macchinari, agroalimentare, energie rinnovabili e nuove tecnologie.

La prima modalità di accesso ai mercati africani da parte delle nostre aziende è certamente rappresentata dall’export, con operazioni di vendita all’estero dei prodotti italiani.

Per garantire una presenza più strutturata sul territorio, condizione imprescindibile per uno sviluppo del proprio business a medio termine, molte imprese identificano in un secondo momento agenti o distributori, che offrano una presenza stabile nel Paese.
Ma la vera sfida, trampolino per il successo commerciale di un investimento, è rappresentata dagli investimenti diretti, anche nella forma di joint-venture con soggetti locali affidabili che conoscono a fondo il mercato locale, come vedremo nel case-study presentato di seguito.

Focus Etiopia

Grazie al posizionamento geografico strategico, l’Etiopia rappresenta la chiave dell’economia nel Corno D’Africa ed un valido raccordo per le operazioni da e per i Paesi del Golfo Persico.

I dati macroeconomici dell’Etiopia evidenziano una crescita continua dell’economia del Paese. In particolare, secondo i dati della Banca Mondiale, negli ultimi dieci anni il PIL è cresciuto in media del 10,5% annuo, a fronte di un tasso medio dell’Africa sub-sahariana che negli ultimi anni si attesta su circa il 5,3%.

Indicatori macroeconomici

 2011  2012 2013
PIL nominale  21.696  29.368  32.238
Variazione del PIL reale  7,3%  8%   7.5%
 Popolazione (mln)  84,7  86,5  88,4
 Variazione del volume delle importazioni di beni e servizi  -5%  25%  14,3%

Fonte: report Info MercatiEsteri, sulla base di dati EIU e IMF.

Le condizioni politiche e sociali sono stabili, nonostante alcune tensioni latenti con i Paesi limitrofi, in particolare con l’Eritrea (che ha ottenuto l’indipendenza dall’Etiopia nel 1993 e con cui è sorto un conflitto armato nel biennio 1998/2000). Nel 2012 la transizione al potere a seguito della morte del primo ministro, Meles Zanawi, con il subentro del vice primo ministro, Hailemariam Desalegn, è avvenuta pacificamente e le prossime elezioni si terranno a maggio 2015.

Opportunità per le imprese italiane

I rapporti tra Italia ed Etiopia sono frequenti e distesi, anche alla luce del passato coloniale e della presenza di una influente comunità italiana nel Paese.
Le opportunità in Etiopia per le imprese italiane sono ampie e interessano principalmente i settori:

  • costruzioni e dell’arredo
  • dei prodotti tessili e chimici
  • nonché dei macchinari e delle apparecchiature (unitamente al relativo know-how) per la crescente industria locale. L’agricoltura è un settore importante nel Paese e c’è molta necessità di industria trasformativa delle materie prime alimentari coltivate in loco.

Una linea di sviluppo di sicuro interesse è quella delle infrastrutture, sia per i trasporti che per l’energia elettrica: il settore presenta importanti opportunità di investimento, per operatori sufficientemente strutturati per affrontare questo tipo di attività, singolarmente o anche in cooperazione con altre imprese interessate al mercato.

In Etiopia c’è spazio per i prodotti e i servizi delle società italiane, che potranno instaurare rapporti con clienti e partner commerciali nel territorio, ad esempio agenti, distributori e altri intermediari. Questo tipo di approccio può rappresentare un efficace primo contatto con il mercato, ma l’esperienza dimostra come interventi maggiormente strutturati e con ottiche di lungo termine ottengano risultati più soddisfacenti e stabili. La cultura economica locale premia, infatti, la presenza e il radicamento nel territorio e l’instaurazione di rapporti continui con i partner commerciali.

Investimenti diretti esteri in Etiopia: normativa

Dal punto di vista normativo, l’Etiopia ha previsto disposizioni specifiche in materia di investimenti diretti stranieri, tra cui la Proclamation 769/2012, cd. Investment Code. L’ordinamento etiope prevede sei diverse tipologie organizzative ma, per gli scopi di un investimento diretto, il ventaglio delle possibilità può essere ristretto a:

  • share companies (analoghe alle s.p.a. italiane)
  • limited companies (analoghe alle s.r.l. italiane)

in quanto solo questi tipi di organizzazione garantiscono la limitazione della responsabilità dei soci.

La costituzione di una società richiede la presenza di almeno due soci (almeno cinque nel caso di share companies); un investimento che faccia esclusivamente capo a un singolo è possibile solo nella forma della sole proprietorship che, però, non fornisce lo schermo della limitazione di responsabilità. Ove un soggetto locale sia coinvolto – anche solo nella misura dell’1% – vengono riconosciuti incentivi all’investimento, nella forma di minori requisiti di capitalizzazione della società etiope.

L’investimento minimo richiesto per un operatore straniero ammonta solitamente ad US$ 200.000,00 – US$ 150.000,00 nel caso in cui sia coinvolto un partner locale. Le soglie scendono rispettivamente ad US$ 100.000,00 e US$ 50.000,00 nel caso in cui la società nuova costituita etiope si occupi di servizi di ingegneria o consulenza tecnica. Nel caso di investimento da parte di operatori stranieri, l’integrale versamento del capitale è condizione necessaria per ottenere l’investment permit, in quanto il Ministero del Commercio etiope verifica in primis proprio il rispetto dei requisiti di capitalizzazione nella nuova entità.

Nonostante un assetto normativo ed un clima sostanzialmente favorevole agli investitori stranieri, non mancano alcune problematiche. L’accesso al mare (e al principale porto commerciale), per esempio, può avvenire solo passando attraverso lo stato confinante di Gibuti, le infrastrutture per i trasporti richiedono ammodernamento e sviluppo e anche l’approvvigionamento energetico può subire delle interruzioni.
Alcune tematiche ed ostacoli pratici (tra cui la ricerca di manodopera qualificata, la gestione delle pratiche burocratiche in loco) possono essere ridimensionati in maniera significativa se l’investimento viene intrapreso in joint venture con un soggetto locale, che sia a conoscenza delle prassi e delle peculiarità delle autorità locali e che possa gestire i rapporti e gli adempimenti nella maniera più efficiente possibile. Tale cooperazione potrà avere risvolti positivi anche sul piano dell’attività commerciale, in quanto un soggetto locale che conosca il mercato ed il modus operandi dei soggetti può agevolare sensibilmente lo sviluppo commerciale, fornendo entrature altrimenti non disponibili ad un investitore straniero non radicato nel territorio.

Case-Study: Joint Venture mista in Etiopia

La soluzione di investire in Africa in joint venture con un partner locale è stata seguita con successo da NewBox S.p.A., una società italiana della provincia di Vicenza attiva nel campo della produzione di packaging metallico e tappi a corona.
Assistita in questa operazione dallo Studio Rödl & Partner, NewBox ha costituito una società ad Addis Abeba con un socio locale. La nuova entità avrà una capacità di produzione iniziale di un miliardo di tappi a corona all’anno con previsione di crescita esponenziale per venire incontro alla crescente domanda interna e dei Paesi limitrofi.

Una collaborazione con questo tipo di simmetrie permette alla società italiana di beneficiare delle conoscenze e del portafoglio contatti e clienti già in mano al local partner, a fronte dell’apporto alla joint venture del know-how e delle tecnologie italiane necessarie alla produzione.

La fase formativa della joint venture e della società veicolo è cruciale per stabilire i rispettivi diritti e obblighi dei partners e creare un equilibrio che renda la collaborazione capace di raggiungere gli obiettivi commerciali, predisponendo allo stesso tempo strumenti di tutela dell’investimento straniero. Il rapporto è evidentemente win/win per entrambi i soggetti coinvolti.

Conclusioni

Come dimostrato dal caso presentato, l’Etiopia offre svariate opportunità sia per operatori strutturati sia per le PMI tipiche del tessuto economico italiano. In particolare quest’ultime non devono sottovalutare la possibilità di affrontare l’internazionalizzazione unitariamente, utilizzando uno degli strumenti aggregativi forniti dall’ordinamento italiano o instaurando una joint venture, contrattuale o societaria, basata nel Paese-target.

Avv Eugenio Bettella
Docente corso NIBI, Business in AFRICA. Focus: Ghana, Nigeria, Kenya e Sudafrica

Redazione

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