La polveriera Libia, nuova frontiera dell’Isis a 350 km dall’Italia

 Roma, 14 feb. (di Corrado Accaputo e Adib Fateh Ali  – La minaccia dell’Isis è ormai arrivata alle porte dell’Europa. Fino a qualche settimana fa si trattava solo di una possibilità da scongiurare, ma con la caduta di Sirte nelle mani del Califfo nero, il timore si è trasformato in certezza. Con dirette minacce all’Italia, che si trova – dicono i jihadisti – a gittata di missile. Esagerazioni, però la Libia è un Paese sempre più fuori controllo, con una crescente presenza di organizzazioni terroristiche e ‘un mix perfetto di armi, assenza di strutture dello Stato, terre e confini marittimi incontrollati, passaggio di profughi e migranti, risorse naturali e finanziarie, divisioni’.

La minaccia terroristica è ormai ‘a poche ore di navigazione dall’Italia’, ‘non la possiamo sottovalutare’, ha confermato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Solo ‘200 miglia marine’ separano i combattenti dell’Isis dal nostro Paese, ha sottolineato. La Libia è uno Stato ‘fallito’, l’Italia ‘deve ragionare con l’Onu sul da farsi’ ed ‘è pronta a combattere nel quadro della legalità internazionale’. ‘C’è un’emergenza Libia. L’Italia è pronta a fare ancora di più, ma quella libica a fianco di quella ucraina è un’emergenza europea’, ha evidenziato il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Una situazione che preoccupa l’Occidente e deve riguardare l’intera Europa. L’allerta, ovviamente, è alta anche e soprattutto in Italia: l’ambasciata italiana in Libia ha fatto un ‘pressante invito ai connazionali a non recarsi in Libia e a quelli tuttora presenti a lasciare temporaneamente il Paese’.

D’altra parte, le condizioni di sicurezza si sono deteriorate rapidamente. L’allarme non è più dettato solo da ragioni geopolitiche, interessi economici o per il fenomeno dell’immigrazione clandestina. Una Libia frantumata e consegnata al caos è diventata terreno fertile per qaedisti e jihadisti. Già numerose cellule di al Qaida e decine di altri gruppi estremisti hanno messo le loro radici nel Paese. Da Derna, capitale del Califfato nero, fino a Tripoli. Ci sono i jihadisti locali e quelli arrivati dall’estero, sempre più numerosi e minacciosi. I combattenti stranieri sono ‘centinaia’, o forse più, secondo le stime degli esperti, provenienti da Egitto, Tunisia, Sudan, Algeria, Yemen, Nigeria e Mauritania. Moltissimi anche i palestinesi, come Abdalilah Qashtah, originario di Rafah e da tempo trasferitosi a Derna. E’ stato ucciso giorni fa in una delle tante battaglie per il controllo del Nord-Est del Paese. Da una parte l’esercito locale, dall’altra gli uomini del califfo al Baghdadi. Lui stava con i jihadisti. Era arrivato ‘insieme a decine di altri ragazzi di Gaza’ attraverso uno dei tunnel lungo il confine egiziano. ‘Migliaia’, invece, sarebbero i sostenitori dell’Isis arrivati dall’estero che avrebbero utilizzato il territorio libico come luogo di transito per raggiungere la Turchia e da lì passare in Siria.

Ecco un quadro della crescente presenza dell’Isis in Libia e dei rischi che pone, per Italia ed Europa.

I CAMPI DI ADDESTRAMENTO Già nell’ottobre del 2014, il portavoce dello Stato maggiore dell’Esercito libico, Ahmed al Missmari, aveva lanciato l’allarme: gli islamisti di Ansar al Shariya (‘Partigiani della Legge Islamica’), gruppo affiliato allo Stato islamico, hanno allestito ‘campi di addestramento per combattenti stranieri’ in Libia. Non solo a Derna, ma anche ‘a Sirte e a Misurata’. Informazione confermata dall’intelligence Usa, che l’ha condivisa con gli 007 alleati. E altre basi jihadiste segrete si troverebbero a Sud, gestite da combattenti islamici in fuga dal conflitto in Mali. Qui, intere cellule armate avrebbero ‘trasferito totalmente le loro attività’: tra queste, ha confermato di recente Numan Bin Osman, presidente della Fondazione Quilliam, anche il gruppo Ansar al Din, attivo in Niger e in Mali, che conterebbe su circa 800 combattenti nella regione.

LA GALASSIA DEI GRUPPI JIHADISTI In Libia agiscono almeno tre grandi gruppi jihadisti vicini ad al Qaida. Gli uomini di Ansar al Shariya, oltre che a Derna, sono molto attivi anche a Bengasi (dove sono accusati della paternità dell’attentato al consolato americano in città, nel 2012, in cui è rimasto ucciso l’ex ambasciatore Usa Chris Stevens). Il loro leader sarebbe Sufyan ben Qumu, ex detenuto prima nel carcere di massima sicurezza di Guantanamo, poi in una prigione libica. Ma nella capitale del califfato islamico libico sono operativi anche l’esercito dei mujaheddin, la brigata Rafallah al Sahati e la Brigata dei Martiri del 17 Febbraio: tutti hanno deciso di aderire ai precetti di al Baghdadi. Gli altri due gruppi della grande galassia qaedista operativi in Libia sono l’Aqmi e l’El-Muwaqiin Bi Dam. Al Qaida nel Maghreb islamico, nato in Algeria come evoluzione del Gruppo salafita per la Predicazione e il Combattimento, è forse la più importante realtà del network del terrore attiva in Nordafrica e nel Sahel. El-Muwaqiin Bi Dam (‘Coloro che firmano con il sangue’) è guidato da Mokhtar Belmokhtar, mente dell’attacco del 2013 all’impianto di In Amenas, in Algeria, finito con oltre 50 morti. Entrambi i gruppi sono operativi in Cirenaica e nel Fezzan. ‘Ogni giorno che passa l’Isis è più forte’, ha avvertito solo poco tempo fa Ali Nayed, ambasciatore libico presso gli Emirati Arabi Uniti e consigliere del premier Abdullah al Thani. ‘Dopo avere messo piede in Libia nella città di Derna’ adesso lo Stato islamico controlla ‘sette centri urbani’ e da questi ha iniziato ‘operazioni militari contro 12 luoghi abitati’, puntando ad estendere i territori che controlla.

L’OFFENSIVA IN CORSO: LA CADUTA DI SIRTE E NAWFALIYA In breve tempo i jihadisti sono riusciti a conquistare anche Sirte. Sono entrati in città nella notte tra giovedì 12 e venerdì 13 febbraio, hanno stabilito il loro quartier generale in un edificio nel centro città, hanno occupato le sedi di radio ed emittenti locali che, da allora, hanno cominciato a diffondere e trasmettere proclami del califfo al Baghdadi. L’assenza di una qualsiasi autorità di governo ha agevolato le loro operazioni, ma gli equilibri a Sirte restano fragili. La città ospita anche altre organizzazioni estremiste, come Ansar al Shariya e le milizie di Fajr Libia, con le quali l’Isis dovrà trovare il modo di convivere. L’offensiva di lunedì nella città di Nawfaliya, 120 chilometri a Est di Sirte, conferma l’ascesa dello Stato islamico. Nelle stesse ore in cui l’Onu stava tentando una difficile mediazione di pace a Ginevra, la città è caduta rapidamente nelle mani dei sostenitori di al Baghdadi. Stando alle fonti del sito ‘World akhabar’, i jihadisti sono arrivati ‘su 80 mezzi armati e con le bandiere nere’ dell’organizzazione, hanno preso d’assedio il centro abitato, e ingaggiato ‘uno scontro a fuoco con le forze al Shouruq’, gruppo appartenente alle milizie islamiste ‘Fajr Libia’ che fanno capo al governo islamico parallelo di Tripoli, a sua volta in guerra con l’esecutivo riconosciuto dalla comunità internazionale trasferitosi a Tobruk. I jihadisti hanno intimato ai residenti di eleggere come loro comandante Abu Talha al Tunisi, già emiro del califfato nella provincia di al Fezzan.

IL PETROLIO E I FINANZIAMENTI PER I TERRORISTI La città di Nawfaliya si trova nella regione petrolifera di al Hilal, che comprende i terminal di Ras Lanouf, Brega e al Sedra; quest’ultimo, controllato dalle milizie di Fajr Libia, dista appena 60 chilometri da Nawfaliya ed è considerato il principale snodo marittimo del Paese per l’esportazione di petrolio. Nelle ultime ore, i jihadisti hanno attaccato i pozzi di El Bahi, nell’area di Raf Lanouf, e di El Dahra, a Sud-Ovest, dopo l’offensiva dello scorso 4 febbraio al sito petrolifero libico-francese di al Mabrouk. Evidente l’obiettivo dell’Isis: i sostenitori del Califfo ‘stanno cercando di garantirsi i finanziamenti per coprire le loro spese militari’, hanno notato alcuni osservatori. Da una parte il petrolio, dall’altra i sequestri di persona e il tentativo di entrare nel business del traffico di essere umani. Mancano ancora conferme ufficiali, ma sono sempre più insistenti le informazioni sulla decapitazione di 21 cristiani egiziani, rapiti intorno a Capodanno nel Paese. Il massacro è stato annunciato su Twitter da siti riconducibili al braccio libico dello Stato islamico, spingendo il governo del Cairo a chiedere ai propri cittadini di lasciare immediatamente la Libia.

L’IMMIGRAZIONE E I RISCHI PER L’EUROPA L’attività per il finanziamento delle operazioni terroristiche, rilevata da tempo dai servizi di intelligence nordafricani, è stata condivisa con i colleghi dei Paesi europei. Anche gli esperti italiani sono da tempo al lavoro per seguirne i percorsi e tracciarne i movimenti. Sotto la lente d’ingrandimento è finito, inevitabilmente, il dramma degli immigrati clandestini. Ma, soprattutto, chi sta dietro alle tragedie del mare. A gestire il traffico di essere umani per i jihadisti, in regime di monopolio o in accordo con altri gruppi, sarebbe Abdel Raouf Kara, leader di una milizia di oltre mille uomini. Particolarmente alta l’attenzione all’area di Bengasi, considerata centro di raccolta nevralgico per i migranti che vogliono raggiungere l’Europa dalla Libia. Alcuni esperti ritengono che l’infiltrazione di esponenti dello Stato islamico nel Vecchio Continente, attraverso i barconi dei disperati, sia ancora poco realistica ma non da scartare del tutto. E se è vero che, come affermato dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ‘nessun Paese democratico può avallare alcuna confusione fra fenomeni migratori e terroristici e diffondere l’idea che dietro i barconi di disperati che approdano sulle nostre coste si annidi il terrorista col kalashnikov’, resta il potenziale pericolo della possibile presenza a bordo delle carrette del mare dei cosiddetti lupi solitari, che con gli italiani di seconda e terza generazione rappresentano la principale fonte di preoccupazione per la sicurezza del nostro Paese. Superato il tempo degli accordi conclusi nel 2008 tra l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il colonnello Muammar Gheddafi per il controllo dei flussi migratori – accordo da più parti contestato -, l’attività di prevenzione e controllo nel Mediterraneo è stata affidata prima alla missione italiana Mare Nostrum, poi a quella europea Triton. Quest’ultima si è però rivelata del tutto insufficiente a sgomberare quello che solo poche settimane fa Papa Francesco ha definito ‘un orizzonte di ombre e di pericoli che preoccupano l’umanità’.

Redazione

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